Una settimana fa Confindustria e i vertici di CGIL, CISL e
UIL hanno raggiunto un’intesa in materia di rappresentanza e rappresentatività
sindacale.
L’accordo è stato salutato in modo entusiasta dal presidente
di Confindustria, Squinzi (“accordo storico che ci permetterà di avere
contratti pienamente esigibili”) e dalle direzioni confederali.
Anche il
segretario della Fiom, il socialdemocratico Landini, ha valutato l’intesa come
un passo in avanti, dopo averne fatti parecchi indietro. Napolitano lo ha
portato ad esempio della favola della “coesione sociale”… fra un pugno di
miliardari e milioni di disoccupati.
Questo accordo viene firmato in un contesto economico e
politico ben preciso:
una crisi profonda e di lunga durata che scuote le strutture
e le sovrastrutture del capitalismo, il cui peso viene gettato completamente
sulle spalle dei lavoratori; impoverimento di massa, disuguaglianze sociali
sempre più marcate; un governo di “larghe intese” al servizio esclusivo del
capitale finanziario, ampiamente screditato agli occhi delle masse, che va
avanti nella politica di austerità e di guerra.
In questo quadro quello che teme di più la borghesia è il
riaccendersi dello scontro sociale, come sta avvenendo in altri paesi.
Ciò spinge i padroni ed i loro complici a prendere misure
per cercare di mantenere la “pace sociale”, perché sono consapevoli che gli
operai e gli altri lavoratori sfruttati non saranno disposti a sopportare a
lungo questa situazione. L’obiettivo è quello di tagliare fuori, disorganizzare
e reprimere i settori più combattivi del proletariato.
L’accordo rientra in questa logica e va in parallelo con le
controriforme elettorali (non a caso si introduce in ambito sindacale una sorta
di maggioritario con soglia di sbarramento) e quelle istituzionali in cantiere.
Si tratta di aspetti di un solo processo reazionario che sta
subendo un’accelerazione nella situazione creata dal perdurare della crisi economica,
dal diffondersi del malcontento e della rabbia fra i lavoratori e
dall’offensiva reazionaria dei monopoli capitalistici.
I padroni puntano a intensificare lo sfruttamento, ad
incrementare il ricatto occupazionale, a distruggere gradualmente tutte le
residue conquiste operaie per rialzare i profitti e competere con i loro
concorrenti. Perciò pretendono la “esigibilità” dei contratti-truffa e degli
accordi capestro per le ristrutturazioni e i licenziamenti di massa, i ribassi
salariali, la flessibilità, etc.
Una sorta di governissimo sindacale - datoriale di larghe
intese formato da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria che tenta risolvere il delicato nodo della crisi della
rappresentanza sindacale evitando che si faccia una legge.
Il fatto che tanto Landini, quanto Dolcetta (vice-presidente
di Confindustria), rivendichino l’accordo come una propria vittoria, pur
rappresentando da un lato il solito gioco delle parti, è anche in linea con la
natura compromissoria di quest’accordo.
Quanto detto si riflette, inevitabilmente, sui contenuti
dell’accordo stesso nel quale si possono riconoscere i tratti tipici delle
larghe intese, cioè clausole elastiche che rinviano agli accordi nazionali di
categoria per la soluzione dei tanti nodi irrisolti.
In questo modo viene lasciata anche alla FIOM la possibilità
di ritagliarsi un ruolo nel proprio comparto, anche se tutto interno alla
dinamica sindacale.
La Fiom ne esce, così, ridimensionata da un punto di vista
politico, ma si sottrae all’isolamento sindacale in cui si era ritrovata con
l’Accordo del 28 Giugno 2011, la vertenza di Pomigliano e l’opposizione
solitaria alle modifiche dell’articolo 18 (sostenute anche dalla CGIL).
In poche parole la Fiom ritorna sui suoi passi e rientra nei
ranghi accettando tutte le imposizioni e le logiche antidemocratiche imposte
dai padroni, in primis Fiat, rinnegando tutte le lotte degli ultimi anni.
La firma di questo vergognoso accordo pone a tutti i
comunisti, agli operai avanzati e combattivi, ai militanti sindacali di classe
il problema di come farlo saltare, per conquistare una vera democrazia
sindacale, respingere l’attacco al diritto di sciopero ed affermare gli
interessi di classe.
E’ chiaro che ciò potrà avvenire solo sulla base dello
sviluppo della mobilitazione e della lotta del proletariato nelle fabbriche,
nelle piazze, contro la “pace sociale nell’industria”.
L’impegno comune dev’essere quello di non rispettare questo accordo, per contrastarne
in tutti i modi l'approvazione e
l'applicazione.
Per fare ciò è necessaria la massima unità di lotta della
casse operaia
Il modo migliore per incrinare prima e demolire poi l’intesa
sulla rappresentanza è sicuramente quello di realizzare il Fronte unico di
lotta del proletariato, costruendo organismi come i Comitati di sciopero, di
agitazione, etc. che raccolgano vaste masse di operai sindacalizzati e non, per
lottare in difesa degli interessi economici e politici della classe operaia.
Nessun commento:
Posta un commento