In tutti paesi dell’unione europea e particolarmente nella zona euro sono in questo momento in corso violentissime politiche antisociali condotte con accanimento dall’Unione Europea e dai governi membri.
Stiamo assistendo alla continua,
massiccia diminuzione della spesa pubblica sociale, alla deflazione salariale
dovuta al blocco dei salari, alla diminuzione della previdenza sociale, mentre
si concedono supporti ingiustificati alle grandi imprese con l’ipotetica
finalità di creare occupazione, si procede alla sempre più estesa
privatizzazione di beni e servizi essenziali, allo smantellamento dei
servizi pubblici e della previdenza sociale e alla finanziarizzazione
dell’economia e dei bilanci pubblici. Ne risulta l’accelerazione esponenziale
del precariato e della disoccupazione di massa.
L’origine di questa situazione è da
ricercarsi nelle politiche
condotte dell’Unione europea, completamente paralizzate dal trattato
di Lisbona, (commenti: cessione di sovranità sotto il profilo penale
vedi qui,
La distruzione degli stati sovrani vedi qui
, leggi anche qui
) .
Il trattato di Lisbona si basa su tutti
i vecchi dogmi neoliberisti che hanno tuttavia già dato prova della loro
nocività per gli interessi del ceto medio e delle classi popolari. Nella zona
euro gli squilibri si aggravano ancor di più tra i paesi.
L’euro si è rivelata essere un’arma di distruzione di
massa contro
l’occupazione. La moneta unica funziona unicamente per proteggere le rendite di
capitali, mantenendo intenzionalmente e costantemente elevatissimo il tasso di
disoccupazione.
Esiste una “sostanza” di questa
costruzione europea che si rifà ai valori e agli interessi delle classi
dominanti occidentali: l’europeismo,
l’atlantismo, il capitalismo e l’autoritarismo.
Un tale sistema non può cambiar natura
né può essere migliorato dall'interno. Occorre smantellarlo e costruire
qualcosa di radicalmente nuovo.
L’Unione europea rappresenta in effetti
il sistema più sofisticato al mondo per costruire una civiltà totalmente
controllata dal mercato. L’Unione Europea è un sistema mostruoso di dominazione
e di alienazione dei popoli da cui dobbiamo al più presto emanciparci. L’Unione
Europea è diventata uno dei cardini dell’ordine neoliberista mondiale con le
sue imprese multinazionali sovradimensionate, le sue istituzioni
sovranazionali tra cui il Fondo
monetario internazionale, la Banca
mondiale, la Nato,
l’Unione europea e
l’OCSE.
La principale caratteristica di questo
sistema è di agire con determinazione per distruggere
la sovranità dei popoli in
ogni nazione. Questo è in realtà il modo migliore di permettere lo sviluppo illimitato della
dominazione del grande capitale, come testimonia il TTIP (per sapere di più vedi il video qui o leggi qui
) .
Per le classi dominanti distruggere le nazioni è la garanzia che non
si può ritornare indietro dalle riforme neoliberiste. Al contrario non esiste sovranità popolare
senza sovranità nazionale. Di conseguenza far sparire la nazione vuol
dire in realtà far sparire la democrazia. Significa sopprimere la capacità dei
popoli di decidere del loro avvenire.
Il supporto dell’Unione europea al
regime parafascista di Kiev dimostra il
suo allineamento totale alla Nato e all’imperialismo americano. Lunghi
anni di esercizio di potere dei partiti socialisti, laburisti e
socialdemocratici in parecchi paesi dell’Unione Europea permettono ormai di
tracciare un bilancio del recente passato.
Come si vede in Italia, in Grecia, in
Spagna, in Portogallo e in Francia, questo bilancio è assolutamente disastroso.
Questi partiti sono ormai dichiaratamente neoliberisti: essi non tentano
nemmeno più di apparire come difensori delle classi popolari.
Dappertutto
invece essi preparano il terreno per governi di grande coalizione alla tedesca
(governi che riuniscono destre sinistra) come l’Unione Europea ha già voluto
stabilire in Grecia, in Spagna, in Portogallo e in Italia.
Se il confine che oppone le classi
dominanti alle classi popolari si allarga di anno in anno, quello tra la sinistra
e la destra diviene sempre più fluido. In
molti paesi nessuna questione essenziale separa ormai la destra dalla sinistra.
Queste forze creano il contesto
politico che costruisce e amplifica il progresso dell’estrema destra,
esse permettono la progressiva assimilazione del concetto di nazione con la sua
definizione etnoculturale, tipica dell’estrema destra.
Al contrario per noi comunisti e di sx, la nazione
è strettamente costituzionale e politica. Lasciare questo concetto
politico così importante ai sostenitori della definizione identitaria di
nazione, come l’estrema destra, è dunque del tutto irresponsabile e ci
impedisce di vedere che tutti questi partiti stanno abbandonando la questione
principale, le condizioni stesse d’esistenza della politica e della
democrazia.
La crescita dei partiti di estrema
destra all’interno dei paesi membri dell’Unione Europea ha come causa
principale le politiche
di austerità condotte
contro le classi medie popolari che hanno ormai gettato i popoli nella miseria
mettendoli addirittura in concorrenza tra di loro.
L’estrema destra può ormai
appropriarsi, essa sola, dell’idea e dei simboli di “nazione“. Di
conseguenza l’idea stessa di nazione finisce per essere assimilata all’estrema
destra. In realtà l’estrema destra difende la visione di nazione ridotta alla
sua sola dimensione identitaria.
Lungi dall’essere antisistema come essa
vorrebbe far credere, l’estrema destra è in realtà un agente indiretto al
servizio del sistema delle classi dominanti.
È dunque urgente ricostruire un
pensiero, una pratica e un programma favorevole agli interessi delle classi
popolari e del ceto medio.
Gli elementi chiave sono:
- la soppressione totale della
disoccupazione e del precariato
- l’applicazione di piani di
reindustrializzazione e di nazionalizzazione dei grandi settori strategici
dell’industria e dei servizi
- lo smantellamento dei mercati
finanziari
- l’annullamento e il rigetto del debito
pubblico
- l’adozione di misure protezionistiche
nazionali nel quadro universalistico della Carta de L’Avana (vedi anche qui) del 1948
- una mutazione ecologica dei modi di
produzione
- un reddito minimo garantito.
- l’uscita dalle istituzioni
sovranazionali che vogliono imporre l’ordine neoliberista mondiale: la Nato, il
Fondo Monetario Internazionale, la Banca mondiale, l’Unione Europea e l’euro.
E’ indispensabile rivendicare e imporre
la necessità di riconquistare la sovranità
nazionale.
Questo significa una lotta decisiva per
conservare ad ogni paese le sue caratteristiche di società autenticamente
politica, dove il popolo dispone dei mezzi giuridici e istituzionali per
decidere e per realizzare ciò che esso considera corrispondere all’interesse
generale.
Un primo passo verso quest’obbiettivo
può essere il referendum per l’uscita dall’euro proposto dal M5s, anche se in
tanti dicono che non si può fare o che vi vuole troppo tempo.
Quelli
che avversano il referendum dicono che non c’è tempo e che bisogna uscire
subito. Bene, a meno di
non voler imbracciare i fucili, mi risulta che non resti che percorrere una
strada istituzionale.
Per uscire subito dall’euro, dicono alcuni,
il Movimento 5 Stelle dovrebbe allora trovare una convergenza con altre forze
euroscettiche finalizzata ad uscire per decreto.
Peccato che un decreto ha due trascurabili
caratteristiche: deve essere approvato dal Consiglio dei Ministri e deve essere
emanato dal Presidente della Repubblica.
Ora, anche sforzandomi con la
fantasia, un Matteo Renzi che mi firma un decreto per uscire dall’euro proprio
non riesco ad immaginarmelo, ma la vera fantascienza costituzionale sarebbe
ipotizzare che un europeista più convinto di Altiero Spinelli, un vero e
proprio integralista, fondamentalista dell’euro e dell’Europa come Giorgio
Napolitano (che pur di preservare la marcia verso gli Stati Uniti d’Europa ha
consentito e agevolato un’aberrazione politica e democratica come la formazione
di un governo di destra e di sinistra allo stesso tempo) possa mai emanare un
decreto che abbia ad oggetto l’uscita dall’euro.
Dunque uscire subito non si può. Allora
quando? Beh, se questo Governo e questo Presidente della Repubblica non vanno
bene, ci vuole un altro Governo e ci vuole un altro Presidente della
Repubblica. Ci vogliono quindi libere elezioni. Le quali non è mica detto che
arrivino presto: Renzi spergiura che vuole andare avanti fino al 2018, nel qual
caso il referendum di Grillo sarebbe l’unica cosa ragionevole da fare perché,
se già oggi pensate che “non ci sia tempo allora nel 2018 saremo già morti e sarà tutto
inutile.
Mentre se gli italiani dovessero
decidere di uscire dall’euro già ai primi del 2016, questo dovrebbe costringere
qualunque Governo a firmare un decreto o perlomeno a rassegnare le dimissioni e
anticipare le elezioni. Nel caso in cui invece il Governo cada e si vada a
votare entro la prossima estate, allora è più che evidente che la campagna
elettorale diventerebbe tutta uno scontro tra quelli che “dobbiamo uscire
dall’euro” e quelli che “siete pazzi”.
In quel caso non riesco ad immaginarmi
come il Movimento 5 Stelle, dopo essersi speso così largamente contro l’euro,
possa non inserire il ritorno a una valuta nazionale al primo punto del suo
programma di governo. A quel punto (sempre ammesso che Napolitano sia già
andato in pensione si danno due scenari possibili: il Movimento 5 Stelle (o una
forza eurexit) vince le elezioni, e allora il referendum diventa obsoleto
(perché si esce e stop) ma è servito per creare consenso, oppure non le vince,
e allora il referendum continua a servire perché torniamo alla situazione
attuale, con il vantaggio che nel frattempo ci siamo portati avanti.
Dunque, ricapitolando, per un eurexit
convinto il referendum è l’unica strada
se non si va a votare, mentre non fa male o fa guadagnare tempo se invece
si va a votare, a seconda che le prossime ipotetiche politiche si vincano o si
perdano.
C’è poi un ultimo argomento che i detrattori
del referendum usano per dire che non va fatto. Tale argomento prevede che le
masse siano poco informate, che i media manipolino e dunque che vi sia il
rischio di perdere la partita, e una volta che gli italiani si siano espressi
per la permanenza dell’euro, …beh, allora tanti saluti! A parte che abbiamo già
due precedenti illustri a dimostrare che, anche in presenza di un’informazione
mainstream fortemente orientata, gli italiani sono perfettamente in grado di
decidere con la propria testa.
E mi riferisco al referendum sull’acqua pubblica
e a quello sul nucleare, dove in entrambi i casi siamo stati capaci di dire no,
nonostante tutti i media spingessero spudoratamente per il sì.
A parte questo, dicevo, mi viene
difficile comprendere come si possa compendiare il sostegno dei principi
democratici, i quali prevedono che su questioni di tale portata e rilevanza i
cittadini vengano chiamati a una consultazione popolare, con la convinzione che
i cittadini non siano titolati né abbiano gli strumenti per prendere una
decisione simile, e quindi che sia lecito che “pochi decidano per tutti”.
Se si crede nella democrazia e si
passano anni a fare campagne contro le élite antidemocratiche che compiono
scelte senza legittimazione popolare, poi non ci si può comportare allo stesso
modo e sostenere che una legittimazione popolare in questo caso è pericolosa
perché gli italiani non capiscono niente e quindi non vanno consultati.
Non vedo molte differenze tra questo
genere di approccio e quello della Commissione Trilaterale che, già decine di
anni fa, nel rapporto Crisis of Democracy sosteneva che le masse devono restare
in apnea, ai margini del dibattito pubblico, altrimenti la democrazia non
funziona. In entrambi i casi sento una fortissima puzza di elitarismo di stampo
paternalistico-autoritario.
E per ogni sincero sostenitore della
libertà di informazione e della sovranità popolare (che si fonda sull’essere
proprietari innanzitutto delle proprie idee, prima ancora che di un territorio)
questa è una cosa che proprio non si può sentire.
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