In questi giorni, nel silenzio assoluto dei media e soprattutto
con la complicità di molteplici forze politiche è stato siglato un accordo tra
Canada e Europa denominato Ceta.
L'attuale fase di sviluppo del capitalismo richiede
strumenti che offrano una maggiore espansione e reddittività alle
multinazionali. Gli inganni denominati trattati di libero commercio, come il
TTIP o il CETA, sono per ora, la formula più avanzata dei monopoli per
esercitare la loro dittatura.
Dopo il voto sulla
Brexit, la Commissione Europea per ridare una parvenza di democrazia, ha
annunciato che il CETA sarebbe stato considerato come un “accordo misto”, che
richiede quindi l’approvazione di tutti i Parlamenti degli Stati membri, oltre
alle principali istituzioni comunitarie.
Ma la Commissione ha
anche proposto che il trattato entri “provvisoriamente” in vigore subito dopo
l’approvazione del Consiglio d’Europa e del Parlamento Europeo; in questo modo
le disposizioni comincerebbero ad applicarsi anni prima della ratifica
ufficiale, e persino nel caso in cui uno o più Stati membri votassero contro
l’accordo.
Il capitale
internazionale può reclamare i propri diritti attraverso i meccanismi di
contenzioso tra Stato e Stato. Il trattato include sistematicamente ampi
diritti conferiti agli investitori transnazionali; la confisca delle
istituzioni democratiche da parte delle multinazionali è il filo rosso che
collega i vari capitoli.
Allo stesso modo, non
è pensabile “bilanciare” la lunga lista di vasti diritti garantiti agli
investitori nemmeno inserendo norme più stringenti per la protezione dei
diritti del lavoro e dell’ambiente.
L'entrata in vigore del CETA dà
l'idea di ciò che sarà alla fine il TTIP: permetterà alle imprese statunitensi
di utilizzare le loro filiali canadesi per aver accesso al mercato europeo.
Conseguentemente, la risposta organizzata e incisiva del movimento operaio e
popolare deve esser quella di porre immediatamente fine al CETA come ha fatto
con la costituzione europea.
Questi accordi commerciali
pretendono una discesa generalizzata degli standard di protezione lavorativa,
ambientale, di sicurezza alimentare, di protezione della salute, sociale,
industriale, e altri, imponendo le legislazioni meno esigenti tra i blocchi
economici che intervengono in ogni accordo. Se già oggi tutte le leggi
attaccano la classe lavoratrice e i settori popolari, con quello che si
propongono di fare siamo destinati ad una maggiore perdita dei nostri diritti e
di libertà.
Un esempio paradigmatico di
questa pratica dittatoriale è l'esistenza di una clausola riservata alla
protezione degli investitori, che potranno citare in giudizio gli Stati nel
momento in cui rileveranno che le legislazioni nazionali ledono i loro
interessi.
Con assoluta chiarezza,
l'obiettivo principale del TTIP e del CETA è quello di privatizzare i servizi
pubblici, cambiare o annullare leggi che impediscono il progredire dei
monopoli, tagliando diritti sociali e salari a beneficio delle grandi
multinazionali. Tutto quello che è argomentato a loro favore dal potere, non
sono altro che menzogne su menzogne.
Indubbiamente questi accordi sono
un attacco diretto ai popoli e alla classe operaia, rivolto a eliminare i
diritti lavorativi e sociali, che faranno aumentare sfruttamento e
disoccupazione.
Questo accordo, assolutamente
lesivo dell'ambiente, permetterà la commercializzazione di prodotti transgenici,
come avviene già oggi negli USA.
Le leggi su un consumo più salutare e con un minimo di
rispetto per l'ambiente di prodotti e aziende agricole-allevamenti (conquista
del movimento operaio e popolare attraverso la sua lotta per la difesa
dell'ambiente) spariranno in poco tempo da entrambi i lati dell'Atlantico.
Un'altra delle molte clausole esistenti in questi trattati
è rinforzare la nascita di brevetti, cosa che farà sì che coloro che li
possiedono abbiano maggior vantaggio nei confronti dei loro competitori. Per
esempio nella farmaceutica, ritarderà la realizzazione di farmaci generici e
saremo obbligati a pagare prezzi esorbitanti per ottenerli.
Dietro al CETA,
naturalmente, è appostato il TTIP. Se il TTIP non dovesse andare a buon fine,
la maggior parte dei suoi intenti sarà realizzata tramite il CETA. La maggior
parte delle multinazionali statunitensi ha filiali in Canada con attività e
“aspettative di profitti o guadagni” nella UE. Per questa via potrebbero quindi
utilizzare l’ISDS per soddisfare i propri crescenti appetiti. Le multinazionali
UE possono certo portare in giudizio il governo canadese, ma nel contempo
possono anche usare le proprie filiali canadesi per attaccare normative europee
sgradite, il che non farà che accelerare la ritirata normativa già in atto da
parte della UE.
Per lunghi decenni il
movimento dei lavoratori ha combattuto una battaglia puramente difensiva contro
le politiche neo-liberiste sul libero scambio e sugli investimenti; ciò che
manca è una strategia attiva. Il terreno perduto non potrà mai essere recuperato
continuando a combattere nel campo avversario. L’attuale situazione di crisi,
stagnazione e di crollo degli investimenti – il più prolungato della storia
recente – non può essere ribaltata con dosi ancora più forti di neo-liberismo.
Per far fronte alla disoccupazione di massa, alle diseguaglianze, allo
smantellamento dei servizi pubblici e al cambiamento climatico servono
programmi concreti di investimenti pubblici.
Ma il CETA e i
trattati che lo fiancheggiano sono molto efficaci nell’impedire questa soluzione.
Assistiamo a un revisionismo reazionario
che apre la strada alla democrazia autoritaria, da noi e nel resto del mondo. Uno
di quei cicli storici che dimostrano che anche la libertà ha le sue stagioni.
C'è stata una mutazione capitalistica, una
rivoluzione tecnologica di effetto obbligato: ricchi sempre più ricchi, poveri
sempre più poveri ed emarginati. È questa la ragione di fondo per cui la
Resistenza e l'antifascismo democratico appaiono sempre più sgraditi, sempre
più fastidiosi al nuovo potere. Padroni arroganti e impazienti non accettano
più una legge uguale per tutti, la legge se la fabbricano ad personam con i loro
parlamenti.
Renzi e il PD
proseguono sul servilismo alle lobby e alla Troika, le politiche condotte
finora, l’attacco alla costituzione, l’eliminazione dei diritti dei lavoratori,
le riforme finora attuate, scuola, previdenza, assistenza, lavoro, sanità, vanno
tutte una logica di autoritarismo, il volere del popolo viene sottoposto al
potere dei singoli, una vera dittatura.
La dittatura è una forma autoritaria di
governo in cui il potere è accentrato in un solo organo, se non addirittura
nelle mani del solo dittatore o di un ristretto gruppo di potere, non limitato
da leggi, costituzioni, o altri fattori politici e sociali interni allo Stato.
Il
CETA è intrinsecamente ostile alla democrazia e al movimento dei lavoratori;
non lo si può “migliorare”, va semplicemente eliminato.
Entriamo nel merito dell’accordo per capire meglio “COSE’
IL CETA”
“Le Parti istituiscono un’area di libero
scambio…”
L’accordo economico e commerciale globale UE-Canada (CETA), come
altri mega-trattati che incombono, è uno strumento generale per ampliare la
portata degli investimenti transnazionali, riducendo la funzione tipica dei
governi nazionali di legiferare nell’interesse pubblico.
L’attacco alla democrazia non è limitato al famigerato meccanismo di risoluzione dei conflitti tra investitori e stati (ISDS), che, prevedendo un sistema legale parallelo riservato esclusivamente agli investitori transnazionali, avvantaggia il capitale transnazionale. L’intero trattato è infatti permeato dalle invadenti pretese degli investitori esteri.
L’attacco alla democrazia non è limitato al famigerato meccanismo di risoluzione dei conflitti tra investitori e stati (ISDS), che, prevedendo un sistema legale parallelo riservato esclusivamente agli investitori transnazionali, avvantaggia il capitale transnazionale. L’intero trattato è infatti permeato dalle invadenti pretese degli investitori esteri.
Il “Libero commercio” e l’universo in continua espansione degli
investimenti. Il Canada e l’UE sono già tra le economie più aperte del mondo. I
dazi doganali sono ai livelli più bassi di sempre. In realtà, lo scopo
principale del CETA è eliminare le “barriere non tariffarie”, ossia le leggi e
i regolamenti emanati nel corso di decenni di lotte per limitare il potere
delle multinazionali e sostenere i servizi e le politiche a difesa dei
cittadini, dei lavoratori e dell’ambiente. Il CETA è un accordo per gli
investimenti, inserito all’interno di un progetto globale di
deregolamentazione.
Il trattato rende le
leggi e i regolamenti attualmente in vigore in Canada ed EU vulnerabili agli
attacchi del capitale, sia direttamente tramite l’ISDS, sia indirettamente
attraverso dispute fra stati fomentate dalle multinazionali. Inoltre preclude
ai governi progressisti l’uso di strumenti politici essenziali, che sarebbero
necessari per porre rimedio alla distruzione sociale che alimenta una destra
autoritaria, nazionalista e xenofoba.
Il trattato parte da
un’ampia definizione di investimento che travalica la portata dei trattati già
esistenti tra Canada e la UE. Questa parte è virtualmente identica a quella
contenuta nella bozza del capitolo sugli investimenti del TTIP trapelata
qualche tempo fa.
Il testo ufficiale del
CETA, impregnato di gergo legale, afferma tautologicamente che: “Per investimento
si intende qualsiasi tipo di bene che un investitore possiede o controlla,
direttamente o indirettamente, e che ha le caratteristiche di un investimento”
(CETA, 2014: 39). Tra la caratteristiche di un investimento c’è “l’aspettativa
di un guadagno o profitto”. Oltre agli investimenti diretti in un’impresa, la
definizione include partecipazioni azionarie, obbligazioni ed altri strumenti
di debito; concessioni, “incluse quelle per la ricerca, la coltivazione,
l’estrazione e lo sfruttamento di risorse naturali”; diritti di proprietà
intellettuale e di “altri beni mobili, tangibili o intangibili, o beni immobili
ed i diritti relativi” nonché “diritti su pagamenti o su prestazioni previste
da contratti” (CETA 2014: 39ff). Ad una multinazionale basta poter dimostrare
la mera “aspettativa legittima” di profitto per impugnare qualsiasi atto
legislativo che ostacoli la realizzazione di tale aspettativa.
Le norme per l’accesso al
mercato e il trattamento nazionale, stabilite nel capitolo sugli investimenti,
si applicano agli enti governativi di qualsiasi livello, rimuovendo qualsiasi
restrizione in nome della “non-discriminazione”. Il trattato impedisce ai
governi di indirizzare gli investimenti stranieri verso scopi particolari, e
proibisce ogni restrizione al rimpatrio dei profitti.
“Espropriazione
indiretta”. Il capitolo sugli investimenti “riafferma” il diritto dei governi
di introdurre normative per tutelare l’interesse pubblico, ma gli investitori
sono garantiti da estese “procedure eque e giuste” e protetti contro
“l’espropriazione indiretta” dei profitti attesi per effetto dell’adozione di
nuove leggi o regolamenti. L’organo per la risoluzione delle controversie dovrà
determinare se un’espropriazione indiretta ha avuto luogo sulla base di una
“indagine conoscitiva che prenda in considerazione, tra le altre cose, in che
misura un provvedimento, o una serie di provvedimenti, abbiano interferito con
nette e ragionevoli aspettative suffragate da investimenti” (CETA, 2014: 331).
Il concetto legale di espropriazione indiretta, o “legislativa”, ha già
consentito a un numero crescente di investitori di portare in giudizio gli
Stati, e vincere cause contro leggi a tutela dell’interesse pubblico,
regolamenti e decisioni giudiziali.
I servizi pubblici sono
esenti dalle clausole del capitolo sugli investimenti che regolano l’accesso al
mercato, il trattamento nazionale, i criteri di performance e dalla clausola
della nazione più favorita (procedura che obbliga a concedere a una nazione
terza le stesse condizioni concesse negli accordi commerciali precedenti a
un’altra nazione), ma soltanto a condizione che siano “forniti senza scopo di
lucro e non in concorrenza con uno o più operatori economici”. Questa è la
esenzione di facciata del settore pubblico istituita dall’Organizzazione
Mondiale del Commercio (OMC) con l’Accordo Generale sugli Scambi di Servizi
(AGSS). Poiché vi sono sacche di operatori privati nella maggior parte dei
servizi pubblici, pochi di questi rispondono ai criteri di esenzione
sopraelencati. Gli Stati possono specificare esplicitamente i servizi che
vogliono esentare da questa parte del Trattato – l’approccio a lista negativa –
usando la Classificazione Centrale dei Prodotti stilata dalle Nazioni Unite nel
1991, le cui migliaia di voci confondono i confini tra industria e servizi, tra
pubblico e privato. Apposite clausole di moratoria e anti arretramento
congelano i livelli attuali di privatizzazione, rendendo difficile e costoso,
per i governi nazionalizzare servizi già privatizzati.
Il capitolo del CETA che
si occupa di legislazione nazionale non si limita ai servizi. I governi devono
assicurare che qualsiasi restrizione legislativa, introdotta o già in vigore,
“non complichi o ritardi indebitamente la fornitura di un servizio o lo
svolgimento di una qualsiasi attività economica”. (CETA, 2014: 91). L’articolo
2 del capitolo sulle barriere tecnologiche al commercio ribadisce i limiti
posti sull’azione legislativa, prevedendo che i regolamenti tecnici “non devono
essere più restrittivi del commercio di quanto strettamente necessario per
raggiungere il loro legittimo obiettivo” [1].
Il capitolo sugli appalti
governativi allarga la penetrazione delle multinazionali a ogni livello di
governo, generalizzando le condizioni di “trattamento nazionale” e proibendo
“compensazioni” definite come “qualsiasi condizione o iniziativa a favore dello
sviluppo locale”.
Il capitolo sui servizi
finanziari consente “misure cautelari”, definite in modo vago, ma riduce la
possibilità di contenere la dimensione o la quota di mercato delle istituzioni
finanziarie perfino se le misure non discriminano tra investitori nazionali e
internazionali. I governi che volessero limitare l’introduzione di nuovi
“prodotti” finanziari, o limitare la dimensione delle istituzioni finanziarie,
dovranno rendersi conto che queste, tramite il CETA, si sono in pratica
assicurate contro ogni rischio legislativo.
Il capitolo sulla
cooperazione normativa impegna i firmatari a “rimuovere inutili ostacoli al
commercio e agli investimenti” e a “rafforzare la competitività” attraverso un
Forum sulla Cooperazione Normativa, un organismo che non rende conto ad alcuna
autorità superiore, e che istituzionalizza le lobby. Il Forum ha il compito di
ridurre i costi di conformità ai regolamenti, di esplorare “alternative” alle
prescrizioni normative e promuovere il “riconoscimento di equivalenza e
convergenza” – insomma, è un modo netto per spianare qualsiasi tutela. I
governi sono tenuti a condividere “informazioni riservate” con le controparti
del Forum prima che queste informazioni siano rese note agli organi legislativi
o al pubblico – il tutto “senza limitare la capacità dei firmatari di svolgere
le proprie attività normative, legislative e politiche”!
Gli approcci normativi
devono essere ’tecnologicamente neutrali’ – una prescrizione che cozza contro
la vaga promessa contenuta nel capitolo sul commercio e l’ambiente, nel quale
le Parti “si impegnano a cooperare per la promozione dell’efficienza energetica
e lo sviluppo e messa in opera di tecnologie a basse emissioni di carbonio e in
generale a basso impatto sul clima”.
Quale peso hanno,
all’interno del CETA, gli investimenti (e, in alternativa, il “commercio di
servizi”) rispetto allo scambio di merci ? Le disposizioni del Trattato cessano
di essere valide 180 giorni dopo la notifica dell’intenzione di abrogarlo. Ma
quelle del capitolo 8 (Investimenti) rimangono in vigore per vent’anni (CETA
2014: Articolo 30.9).
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