In Italia un tempo c’era la politica


Il disastro economico che pervade da un capo all’altro l’Europa, la stessa crisi del modello europeo fondato sul primato e sui vincoli dell’unione monetaria, ripropongono, con maggiore vigore rispetto al recente passato,
il tema della funzione della politica nelle nostre società e quello della sua autonomia rispetto agli altri poteri.
Nel secolo trascorso l’autonomia della politica si è espressa con l’esercizio collettivo di una critica dell’esistente attraverso i partiti di massa, nel conflitto tra visioni diverse del mondo, tra differenti progetti di società.
Quindi vi era una sostanziale differenza tra dx e sx, tra capitalisti e anticapitalisti.
Oggi i partiti, quelli di massa che abbiamo conosciuto nel corso del Novecento, non esistono più: sono stati sostituiti da simulacri di partito politico, dietro cui predominano soltanto le carriere personali dei leader ed il loro rapporto diretto con la massa elettrice, naturalmente passiva ed amorfa.
In quanto all’indipendenza di questi leader, e delle loro organizzazioni, rispetto al potere dei mercati, delle istituzioni bancarie e dei grandi gruppi industriali, è inutile dire che è inesistente: la loro è una funzione di subalternità del modello economico in cui il popolo è costretto.
Ogni giorno siamo inondati da notizie sull’andamento delle borse, sul rendimento dei titoli di Stato. Parole come spreaddefault, listini, indici, sono entrati ormai nel linguaggio corrente delle persone.
Cosa c’è dietro quei numeri, chi ne determina l’andamento, nessuno però lo sa. Tutti sanno però cosa significano le misure che vengono adottate dai governi nazionali per stare dietro alle fluttuazioni dei listini della borsa e dei tassi d’interesse sul debito, perché toccano la carne viva della loro esistenza, incidono sulle loro aspettative e sul proprio futuro.
Il problema, tuttavia, è che le politiche portate avanti dai governi nazionali sotto la dettatura dei centri di potere finanziario europei, lungi dal risolvere la crisi in atto, evidentemente la stanno aggravando.
Quando si dice che la cura è peggiore del male.
Come in molti fanno notare, ormai, i continui tagli alla spesa pubblica, figli delle dissennate politiche di austerità imposte dall’Europa, stanno avendo effetti esattamente opposti a quelli che si prefiggono: meno consumi e occupazione, più debito e speculazione.
Si è innescata una spirale austerità/recessione, d’altro canto, che sta ammazzando le nostre economie, negando ogni prospettiva di futuro alle giovani generazioni.
Diciamolo più chiaramente: i parametri di compatibilità europea, da Maastricht in giù, fino a quelli imposti dai trattati sul Fiscal compact e sul Mes, in questo quadro appaiono sempre più come il cappio che stringe il collo dei paesi membri, non tanto la garanzia della loro stabilità od il presupposto del loro futuro benessere.
E non c’è bisogno di evocare la Grecia per rendersene conto, basta guardare in casa propria.
E se ciò sta accadendo, è potuto accadere, è perché la “funzione politica” in Europa è ormai transitata dai governi e dai parlamenti alle burocrazie finanziare: oggi in Europa la politica economica la fa più la Bce che i governi nazionali e la stessa Commissione.
Esattamente quello che succede oggi nelle nostre società, dove, con la politica al crepuscolo, le differenze tra le varie soggettività in campo sono assolutamente fittizie, tutte facilmente ricomponibili nell’ambito della comune appartenenza al partito della conservazione dell’esistente.
Da questo punto di vista la vicenda del governo Conte è stata proverbiale, chiarificatrice.
Partiti e movimenti che per anni si sono combattuti aspramente si sono poi ritrovati insieme a comporre la maggioranza del nuovo governo.
Forse perché hanno cambiato idea sulle loro vecchie posizioni?
Ieri si scontravano su un idea diversa di società, alcuni rivendicavano con forza l’autonomia e l’ndipendenza, politica ed economica, del nostro paese, esprimevano un forte dissenso sulle grosse opere pubbliche come la Tav, il Tap, il ponte sullo stretto, una forte contrarietà sulle scelte dei governi precedenti come la riforma dell’art.18, il job act, la privatizzazzione dell’acqua, fino ad attaccare l’Europa, la Troica e i suoi meccanismi di distruzzione dei paesi cosiddetti pigs, richiamando più volte il rispetto della costituzione e la necessità di decisione del popolo sulle proprie sorti attraverso i referendum.
Ciò su cui per anni si sono divisi che costituiva un decisivo cambiamento rispetto agli attuali assetti economici e sociali, italiani ed europei, visioni contrapposte della realtà, con la prospettazione di diversi modelli di sviluppo per le nostre società.
Tali scelte ritenute populiste dai servitori del potere capitalista finanziario, hanno ricevuto un forte consenso popolare, la gente comune che fino a poco prima si divideva tra dx e sx, improvvisamente vede in loro una speranza di cambiamento e decide di crederci portandoli al governo.
Purtroppo tutto ciò si è rivelato un grosso bluff.
In realtà, è tutta un’altra questione, è bastato poco per rivoluzionare tutto per non cambiare nulla, di tutto ciò che avevano proclamato hanno fatto esattamente il contrario, e da oppositori delle lobby, dei poteri forti si sono trasformati in servi dell’Europa, per questo si sono potuti ritrovare insieme ai peggiori difensori degli oppressori dei popoli, a sostenere senza troppi sacrifici le misure proposte da bruxell.
La lotta era condotta esclusivamente su un terreno che potremmo definire, ad essere buoni,“politicista”: è come ripeteva il grande vecchio “ il potere logora chi non c’è là” .
La cosa che mi fa più rabbia di quel movimento e’ che hanno bruciato qualsiasi possibilità di formarsi un’altra partito o movimento popolare di protesta poiché hanno mentito su tutto, no su una , su tutto. Hanno distrutto la speranza!
Il grande tema di oggi è dunque ricostruire l’autonomia della politica.
Ma una politica autonoma ha bisogno, oltre che di forme organizzative adeguate e chiari punti di vista sulle questioni dirimenti dell’attualità, anche di una visione generale dei rapporti di forza in campo e di un’idea condivisa della prospettiva storica.
Detto con frasi di un tempo, un ritorno ad ideologie, che andrebbero a confrontare l’azione degli attori politici in visioni di che società si vuole progettare.
Con l’auspicio che nella nostra società possano trovare spazio, svilupparsi, nuove culture critiche della realtà, capaci di sostenere l’azione di partiti e movimenti realmente alternativi al modello capitalistico oggi dominante.
In questo senso è compito delle forze antagoniste, delle O.S. conflittuali, dei movimenti spontanei che partono dal basso, promuovendo una critica dal basso degli attuali assetti di potere in Europa e delle folli politiche di austerità che gli stati membri stanno pervicacemente adottando, costruire una speranza.
Essi, attraverso un vero conflitto di classe, al di là delle rivendicazioni contingenti, possono contribuire a scuotere il palazzo ed un sistema politico subalterno, ripiegato su se stesso, del tutto autoreferenziale.
Possono contribuire a riformare le nostre democrazie, perché la questione dell’autonomia della politica, diciamolo chiaramente, ha molto a che fare con la loro qualità.
D’altronde sarebbe sbagliato considerare la democrazia solo un insieme di regole a presidio della libertà dei cittadini.
La sua vera essenza risiede nel dare rappresentanza e forza di governo alle idee che promanano dalla società, attraverso la mediazione delle forze politiche e delle organizzazioni di massa.
·      Cosa succede oggi nelle nostre democrazie?
·      L’azione dei governi è realmente l’espressione della volontà popolare?
·      Il potere decisionale risiede effettivamente nel parlamento e nei governi nazionali?
Chi afferma questo dice il falso, evidentemente. La crisi della politica risiede sempre più nella sua inutilità, essendo la sua attuale funzione quella di dare il crisma dell’ufficialità a decisioni prese in altre sedi dal potere capitalista.
Ho una grande nostalgia dei, La Malfa, Malagodi, Moro, Zaccagnini; ma anche di Pajetta e Pertini; e di tutto il Pci che stava all’opposizione.
E ho una gran voglia di sentir parlare di “Programmazione economica”, di “Piani quinquennali”, di “Dx SX Centro”  di “Convergenze parallele”. Di quei tempi in cui, una volta, la Politica con la P maiuscola segnava i destini del paese, magari con ardite sintesi in “politichese, dove le masse operaie facevano sentire la loro vove nelle piazze e determinavano i governi.

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