La deindustrializzazione dell'Italia e l'immobilismo dei governi

 


Gli effetti delle privatizzazioni sono diventati una vera e propria emergenza nazionale.

I capitalisti licenziano, chiudono, smantellano, hanno fatto diventare le aziende una “bomba ecologica”,

Alitalia, Whirlpool, FCA, CNH-Iveco, ex Lucchini, Ilva, Embraco, Bekaert, Electrolux, ...  procede inesorabile la liquidazione delle aziende che producono beni e servizi.

È una distruzione che ha radici lontane. Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi 30 anni hanno fatto dell’Italia un terreno libero per le scorrerie dei gruppi capitalisti,  che comprano, chiudono, smembrano e delocalizzano aziende industriali. Hanno privatizzato quasi tutto il sistema industriale pubblico e gran parte dei servizi sociali: istruzione, assistenza sanitaria, pensioni, sicurezza sociale, nettezza urbana, acqua e altro.

 La pandemia ha mostrato con l’evidenza dell’eccidio e della disorganizzazione le conseguenze nefaste dei tagli alla sanità pubblica, al personale medico e infermieristico, ai suoi presidi territoriali, ai posti letto, alle spese sanitarie e il disastro derivato dalla privatizzazione della salute. Ha evidenziato come solo un’efficace sanità pubblica, nazionale, tempestiva, gratuita, preventiva, laica possa essere un baluardo contro le pandemie.

 Hanno devastato il paese con grandi opere inutili e dannose. Hanno reso l’Italia schiava del sistema finanziario internazionale tramite il Debito Pubblico. Hanno delegato all’Unione Europea (Commissione e Banca Centrale) la gestione dell’economia del paese.

La situazione è talmente compromessa che persino nel campo dei politicanti borghesi e dei sindacalisti di regime si è fatta strada l’ipotesi di ri-nazionalizzare le aziende strategiche: alcuni intendono che lo Stato deve “partecipare” con una quota di capitale insieme ai privati, altri che lo Stato deve rilevare le aziende e gestirle. In opposizione a queste tesi, altri politicanti ricordano che “non ci sono i soldi” e si oppongono alla “creazione di nuovi carrozzoni pubblici”.

I politicanti e i sindacalisti di regime discutono partendo sempre dal punto di vista degli interessi di qualche gruppo di potere e comitato d’affari e quando li spacciano per comuni con quelli degli operai e delle masse popolari, fanno solo propaganda di regime: gli interessi degli operai e delle masse popolari non possono essere convergenti con quelli dei capitalisti.

Gli operai e le masse popolari hanno interesse alla nazionalizzazione delle aziende strategiche, delle aziende in crisi, che chiudono, delocalizzano e inquinano e hanno interesse a nazionalizzare l’intero sistema economico del paese.

Sovranità nazionale significa impedire lo smantellamento di quello che resta dell’apparato produttivo del nostro paese.

Significa mantenere in funzione e italiane le aziende che producono beni e servizi utili, riorganizzare il resto dell’apparato produttivo.

Sovranità nazionale significa prima di tutto sovranità sull’apparato produttivo del paese.

Il nostro paese per funzionare ha bisogno di alimenti, di energia, di mezzi di trasporto, di infrastrutture, di macchinari, ecc.; ha bisogno di aziende che producono i beni e i servizi necessari alla vita della popolazione e ai rapporti (di scambio se non ancora di collaborazione e di solidarietà) con altri paesi.

Dall’apparato produttivo dipende l’andamento generale del paese: dall’occupazione (i posti di lavoro) alla manutenzione del territorio, dalla sicurezza sul lavoro all’educazione delle nuove generazioni, dall’approvvigionamento dei supermercati e dei negozi alla cura degli anziani, dalla salubrità di quello che mangiamo alla mobilità delle persone, dal risparmio delle risorse naturali alla difesa dell’ambiente e della salute pubblica.

Solo ponendo fine alla distruzione dell’apparato produttivo del paese e riabilitandolo si pone fine del degrado generale della vita sociale e alla scomparsa in milioni di persone della fiducia nella vita e in se stesse.

 Un governo che si propone seriamente di cambiare il paese, deve imporre a ogni grande e media azienda che opera sul territorio italiano di sottoporre al Ministero dello Sviluppo Economico i propri piani industriali per ottenere il benestare dal punto di vista della qualità dei prodotti, dell’occupazione, dell’impatto ambientale; deve vietare lo smembramento delle aziende, la riduzione del personale, la chiusura e la delocalizzazione; deve impedire la vendita di aziende a gruppi esteri che per loro natura sfuggono all’autorità dello Stato italiano.

Far valere la sovranità nazionale iscritta nella Costituzione del 1948 contro le imposizioni del nuovo ordine mondiale attraverso le sue istituzioni finanziarie (UE, BCE, FMI) e il suo braccio armato (la NATO) è il compito di qualsiasi governo è un dovere del garante della costituzione!

Il governo Conte ha la volontà e la forza di impedire chiusure, ridimensionamenti e delocalizzazioni?

Viviamo un’epoca che ha smascherato il cinismo di questo sistema economico, in cui la classe dominante non è disposta a sacrificare un centesimo dei propri profitti per tutelare la sicurezza, la salute, e i diritti di milioni di lavoratori.

Lavoratori che hanno capito che il loro ruolo è “essenziale”, quello dei padroni no.

È venuto il momento di incidere nelle decisioni dei governi e rivendicare che a decidere cosa, come, quanto e quando produrre debbono essere i lavoratori, attraverso appositi consigli eletti a livello d’azienda e poi a livello territoriale, fino al livello nazionale.

Sviluppare forme di controllo operaio, coordinarle e diffonderle, istituire consigli e comitati operai intesi non come una forma di rappresentanza fine a se stessa ma come organismi di lotta che si contrappongono al padrone in fabbrica e alla classe dominante nella società, eleggibili e revocabili in qualsiasi momento, sarà il modo migliore per sfidare il potere della classe dominante che parte dai profitti in ogni sua scelta e non certo dai bisogni della grande maggioranza della popolazione.