Per un vero recupero salariale e il bluff del salario minimo..

 


Una lunga offensiva contro i salari che ha fatto continuamente peggiorare le condizioni di vita dei proletari e delle loro famiglie. In milioni sono sotto la soglia della povertà. Con la guerra e il rapido aumento dell’inflazione il potere di acquisto dei salari è ulteriormente sceso in pochissimo tempo. Il fenomeno inflazionistico incide maggiormente nel nostro paese sulle condizioni di vita dei lavoratori perché i salari sono bassi, il lavoro precario, discontinuo, la disoccupazione cronica e molto alta.

Sulla questione salariale oggi si esprime la contraddizione capitale-lavoro.  E’ una questione di una gravità tale che non può essere disconosciuta da nessun esponente della classe al potere.

Ma per capire il motivo di tale impoverimento e porre un vero argine, bisogna identificarne le cause.

Da una recente analisi condotta dall’Ocse è emerso che i salari italiani sono più bassi rispetto a trent’anni fa, precisamente rispetto agli anni 90.

Le lavoratrici e i lavoratori più giovani forse neanche lo ricorderanno, ma dal 1945 al 1992 in Italia c’era la scala mobile, un meccanismo di adeguamento di salari e pensioni al costo della vita.

Fu introdotta dopo la Liberazione grazie alla forza che avevano il movimento operaio con i consigli di fabbrica, al partito comunista e ai socialisti di cultura anticapitalista, nei confronti di un padronato ancora debole perché era stato complice e sponsor del regime fascista.

La scala mobile divenne bersaglio del primo taglio nel 1984 da parte del governo Craxi con l’accordo di Cisl e Uil. Fu l’ultima battaglia di Enrico Berlinguer quella per un referendum che fu sconfitto nel 1985. Ma anche dopo il referendum continuò ad essere attiva.

Fu ulteriormente svuotata, dopo lo scioglimento del PCI, la Cgil aderì ad una linea di concertazione e di cedimento al governo Amato e a Confindustria che avrebbe inaugurato una lunga stagione di ritirata e perdita di diritti.

Nel 1990, poi, la Confindustria si sente ormai abbastanza forte per disdettare l’accordo sulla contingenza. Con l’accordo del 31 Luglio 1992 CGIL, CISL, UIL accettano la definitiva eliminazione della scala mobile (il segretario CGIL Bruno Trentin sottoscrive l’accordo… e il giorno dopo si dimette dicendo di aver firmato solo per “salvare l’unità sindacale”).

Da quel momento a stabilire la previsione degli aumenti sarebbe stato l’Istat che rinviava eventuali scostamenti tra inflazione prevista e quella reale  a successivi recuperi che nei fatti si sono tramutati in ben poca cosa.

Utilizzarono meccanismi che definire truffaldini è poco, iniziarono a parlare di “inflazione realisticamente prevedibile” ossia il codice Ipca (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i paesi dell’Unione) che restava ancorato ai meccanismi comunitari di contenimento dell’inflazione e della dinamica contrattuale.

Al posto della democrazia economica subentrava allora il dogma di Maastricht che negli anni successivi avrebbe portato a inserire il pareggio di bilancio in Costituzione.

Cosa è accaduto? Teniamo conto che gli indici sono sempre considerati al netto dei prodotti energetici importati e guarda caso la dinamica in continua crescita dei prezzi energetici fa perdere potere di acquisto, di conseguenza gli aumenti salariali saranno sempre inferiori al reale aumento del costo della vita e non copriranno l’inflazione reale.

Teniamo conto poi che i contratti sono siglati sempre con anni di ritardo e l’indennità di vacanza contrattuale, corrispondente nel migliore dei casi allo 0,50 per cento del tabellare, determina un’ulteriore beffa e perdita del potere di acquisto, perché nel migliore dei casi andremo a prendere meno di un quarto, o di un quinto, di quanto comporteranno gli stessi contratti, al netto, come aumento contrattuale mensile.

La perdita del potere di acquisto è evidente: il codice Ipca fa perdere potere di acquisto, idem l’indennità di vacanza contrattuale, altri soldi che poi saranno da decurtare dai futuri aumenti contrattuali.

Se poi consideriamo lo scambio diseguale tra aumenti contrattuali e servizi o la beffa di sanità e previdenza integrativa (sacrificando il Tfr), ci rendiamo conto di come l’intera dinamica contrattuale concordata con i sindacati rappresentativi abbia rappresentato una debacle autentica per i nostri salari.

E poco conta se gli aumenti accordati nei rinnovi contrattuali futuri saranno di poco superiori ai calcoli con il codice Ipca, la perdita di potere di acquisto è sempre più marcata condannando i nostri salari (come le future pensioni calcolate con il contributivo) a una autentica miseria.

È d’allora che il potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori italiani è entrato in un tunnel di stagnazione di cui oggi, 40 anni dopo, si intraveddono i danni.

Ma in che modo essi vorrebbero risolverla?

L’europa, monetaria, finanziaria, o dei padroni, come si preferisce, rendendosi conto dell’imminente pericolo di rivolta sociale, propone un salario minimo, ovviamente non uguale per tutti i paesi.

A questa ipotesi ecco che gli schieramenti politici del centro sx si accodano insieme alle O.S. che in questi anni hanno determinato la riduzione dei salari.

Mentre Draghi tace e continua a ricevere applausi da industriali tanto ipocriti quanto arroganti, i vertici sindacali collaborazionisti si limitano alla richiesta di rivedere il metodo di calcolo degli aumenti nei CCNL.

 Ci vorrebbero far dimenticare che proprio quel metodo, da loro accettato, è stato una concausa dell’impoverimento della classe operaia. E ora si accontentano delle briciole!

Del tutto subalterna al capitale è anche la posizione del ministro PD, secondo cui la soluzione verrebbe dalla tempestività del rinnovo dei contratti e la loro effettiva applicazione, assieme all’estensione del trattamento economico previsto dai contratti a tutti i lavoratori del settore.

 Confindustria fa il solito piangina sulla “povera impresa” tartassata che si lamenta degli alti prezzi di materie prime ed energia. Condivide però l'azione di Draghi, il suo atlantismo, e la sua politica di guerra per i profitti.

Sui salari la posizione confindustriale è chiara: nessun aumento slegato dall’aumento della produttività, ovvero dello sfruttamento.

I media come sempre cassa di risonanza del potere, amplifica la necessita’ di un salario minimo per un recupero del potere d’acquisto dei salari, e in alcuni casi paragonandola  addirittura ad una nuova scala mobile.

Niente di più falso, è bene chiarire che come abbiamo illustrato sopra, “Con scala mobile si intende in termini economici quel sistema di rivalutazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti e pensionati, prevedeva un meccanismo di indicizzazione automatica dei salari in funzione degli aumenti dei prezzi di determinate merci. Il tutto per contrastare la diminuzione del potere d’acquisto (dovuto al costo della vita e alle crisi).

Mentre con salario minimo si intende una soglia minima per quei lavoratori privi di contratto nazionale, quindi sui pensionati, i lavoratori con reolare contratto nazionale, non porterebbe nessuna rivalutazione. Mentre a coloro sotto la soglia di poverta’ non assicurerebbe un salario dignitoso.

Sono poveri e rimarranno tali. Pur di non intaccare le politice liberiste di questa europa.

Se il bilancio di questa storia è del tutto negativo per i lavoratori, le burocrazie sindacali hanno al contrario ricavato ricche prebende dalla scelta della “concertazione” (suggellata dall’accordo del 3 Luglio 1993) attraverso la creazione dei centri di assistenza fiscale (CAF) (1991 e 1992), dei fondi interprofessionali e degli enti bilaterali (via via sviluppatisi dal 1993), dei fondi pensione integrativi di categoria (nati a partire dal 1993 – ricordiamo che ai malcapitati lavoratori che vi aderiscono non è più consentito uscirne!) e non dimentichiamo le recenti norme sul welfare aziendale, i patronati.

Va da sè che la battaglia per il sindacalismo di base non sarà semplice, dovranno essere i lavoratori a far pesare il proprio impegno di lotta per una battaglia di civiltà, non solo in termini di equità salariale, ma anche rispetto ad una generale promozione sociale e democratica del nostro Paese,  battendo l’impostazione neoliberista sempre presente in sede politica e sindacale fra vecchi e nuovi adepti del pensiero unico.

Tutto il percorso fu dettato dalla svolta dell’EUR fino a confluire nel trattato del 7 febbraio 1992, il trattato di Maastricht o Trattato sull’Unione Europea che sarebbe entrato in vigore a partire dal 1 novembre 1993.

In sostanza le riforme che hanno prodotto l’impoverimento dei salari, la distruzzione dei diritti, la precarizzazione del lavoro, l’eliminazione di un sindacato conflittuale e la creazione del sindacato subalterno alla classe padronale, furono dettate da quegli organismi sovranazzionali che hanno svuotato di sovranità le nazioni e che sono sotto il controllo della finanza.

Basta con i sotto-salari per giovani, precari, donne: a uguale lavoro uguale salario!

Per una nuova scala mobile capace di garantire salari e pensioni.

E’ urgente riprendere la mobilitazione, altrimenti dopo la riduzione che stiamo subendo con l’inflazione galoppante ne verranno altre perché i padroni vogliono salvare a tutti i costi i loro profitti minacciati dalla crisi, dalla pandemia e dalla guerra. La via della lotta e dell’unità di classe è la sola via per difendere il pane, il lavoro, i diritti faticosamente conquistati, il solo mezzo per rovesciare sulla testa delle classi dominanti le conseguenze della recessione e della guerra.

Una storia infame. Ma conoscere il passato è indispensabile per modificare il futuro. E questo dipende solo dai lavoratori.

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